Ruth Swain, viso affilato, labbra sottili, pelle pallida incapace di abbronzarsi, lettrice di quasi tutti i romanzi del diciannovesimo secolo, figlia di poeta giace a letto, in una mansarda sotto lapioggia, «al margine – come lei dice – tra questo e l’altro mondo». Un giorno è svenuta al college, e da allora, malata, trascorre le sue ore in compagnia dei libri ereditati dal padre. Romanzi, racconti e versi attraverso i quali si avventura su sentieri sconosciuti, vive vite altrui piene di amori e passioni travolgenti, apprende cose che pochi sanno: che Dickens, ad esempio, soffriva d’insonnia e di notte passeggiava per i cimiteri; o, ancora, che da giovane Stevenson aveva attraversato la Francia dormendo sotto le stelle, in compagnia di un’asina che somigliava vagamente a una signora di sua conoscenza. Quando si è costretti tra le pareti della propria stanza, è bello scivolare dentro altre storie, diventare Jane Austen che, dopo la dichiarazione del suo spasimante, il signor Bigg-Wither, trascorre una notte insonne, oppressa dal pensiero di mettere al mondo dei piccoli Bigg-Wither; oppure Emily Dickinson che scriveva facendo largo uso delle maiuscole. È bello, soprattutto, ripercorrere il sentiero della storia della propria famiglia, scavare tra i secoli, tra reverendi bizzarri e un vasto assortimento di eccentrici irlandesi, per scoprire il fardello dell’ambizione smisurata degli Swain: l’ossessione di un mondo migliore dove Dio possa correggere i propri errori e gli uomini e le donne possano vivere la seconda stesura della Creazione, liberi dal dolore. Mentre la pioggia batte sul tetto della mansarda, Ruth rovista cosí tra i libri e legge e raduna attorno a sé tutto quello che può: la vecchia edizione arancione di Moby Dick della Penguin, un libro che ingrassa ogni volta che lo prende, la copia di Ragione e sentimento con il ritratto di Jane con la cuffietta in testa, le memorie del Reverendo, il bisnonno che nella sua mente assomiglia al vecchio Gruffandgrim di Grandi speranze, gli appunti di Abraham, il nonno, che anziché abbracciare la chiamata del Signore abbracciò quella della pesca al salmone, i quaderni da bambino su cui Virgil, figlio di Abraham e suo amato genitore, annotava con la matita le sue poesie. Storie che, come tutte le storie, si raccontano e si leggono per scacciare il male di vivere o, come nel caso di Ruth, per mantenersi ancora «al margine tra questo e l’altro mondo». Finalista al Man Booker Prize, il prestigioso premio britannico, Storia della pioggia è uno dei romanzi piú celebrati della recente stagione letteraria. Inno al potere curativo dei libri, l’opera di Niall Williams ha incantato critici e lettori per la bellezza della sua scrittura e la sorprendente originalità con cui svolge l’antico tema del legame tra letteratura e vita. «Tutti raccontiamo storie. Le raccontiamo per passare il tempo, per dimenticare il mondo o capirlo meglio. Raccontiamo storie per scacciare il male di vivere». «Una lingua che incanta per la sua bellezza, un romanzo che, con una trama coinvolgente, tesse un’ode alla letteratura». Guardian «Destinato a diventare un classico… Una lettera d’amore alla lettura e al suo potere di ridare vita alle cose». Library Journal «Un peana al piacere di leggere». Telegraph «Compratelo, fatevelo prestare, rubatelo, ma non perdetelo!». Angela Young